Torna l'approfondimento "La nostra pinacoteca" curato da Francesca Mellone su artiste contemporanee e non della scena internazionale.
Stelle filanti sono le tue parole
di Francesca Mellone
JUDITH SCOTT (1943-2005, Stati Uniti)
Nata a Cincinnati, Ohio, in una famiglia della media borghesia, Judith è affetta dalla sindrome di Down. A seguito di un attacco di scarlattina, nella prima infanzia, perde l'udito, anche se la sua condizione viene riconosciuta solo più tardi, ragion per cui diventa incurabile.
Considerata “ineducabile”, all'età di sette anni è inserita in istituti che somigliano a carceri: vi rimarrà per 35 anni. Nel 1986 sua sorella gemella Joyce ne ottiene la custodia e la scrive al Creative Growth Art Center di Oakland, prima struttura per artisti disabili. Per quasi due anni, Judith non manifesta alcun interesse creativo, solo gradualmente si avvicina all'arte tessile. Inizia, così, a produrre sculture simili a grandi bozzoli che incapsulano oggetti di varie forme e dimensioni: ventilatori, ombrelli, riviste, ruote di bicicletta, conchiglie. Per farlo, li assembla con delle stringhe, quindi li avvolge, sino a coprirli completamente, utilizzando filati, corde e tessuti colorati. Quei fili riavvicinano Judith al gioco motorio e sensoriale dell’infanzia, stringono e legano saldamente oggetti che non devono più perdersi; sono un unico interminabile filo: il Filo di Judith. La sua arte è considerata l’esempio più significativo di una corrente che il pittore francese Jean Dubuffet definiva Art Brut, un concetto introdotto alla fine della Seconda Guerra mondiale per identificare opere nate senza intenzione estetica, sulla spinta di una pulsione espressiva. Non so se abbia senso consegnare la produzione di Judith a una categoria che, come ogni categoria, rischia di essere al contempo rassicurante e deviante: in ogni caso un espediente che esime dal comprendere una forma comunicativa di straordinaria portata. Le sculture di Judith sono cuori pulsanti, feti, viluppi neurologici, vasi sanguigni, nidi, culle; pronunciano parole che disorientano perché mentre celano rivelano, mentre coprono scoprono, mentre conservano trasformano, mettendo in crisi la nostra stessa percezione. Sono oggetti totem, di un culto intimo e carico di umanità.
Nel 1999 si tiene la prima mostra dell’artista, coincidente con la pubblicazione del libro di John MacGregor: “Metamorphosis: The Art Fiber of Judith Scott”, uno studio accurato che procura a Judith una fama internazionale. I suoi lavori si rintracciano nelle collezioni permanenti del San Francisco Museum of Modern Art, nella Collection de l'Art Brut di Losanna, all'American Folk Art Museum di New York, al Museum of Everything di Londra.
Judith muore nel 2005 all’età di 61 anni, lasciando 200 opere.