di Annarosa Buttarelli, direttrice scientifica della Scuola di Alta Formazione Donne di Governo pubblicato su "Lo Specchio" de La Stampa il 25 settembre 2022
Nel mondo occidentale il tema dell’astensionismo dal votare è, sempre più, un tema “caldo”, anche perché si pone come un’arma a doppio taglio: se da un lato può essere inteso come un grave segnale indirizzato agli schieramenti in competizione elettorale, dall’altro lato può essere un inteso come un vulnus alla democrazia, poiché offre vantaggi non intenzionali alle maggioranze che si costituiscono nel dopo-elezioni.
In Italia, in questo frangente elettorale, l’astensionismo non è mai stato considerato un comportamento troppo pericoloso, se non in occasioni referendarie. Ma stavolta il tema è diventato virale, sia perché si gioca una partita politica molto importante per il futuro del Paese, sia perché anche in questo caso hanno preso la scena le donne, le quali, anche qui, hanno fatto il sorpasso, secondo le proiezioni statistiche: l’astensionismo femminile potrebbe essere al 5% in più di quello maschile. Come mai? Il fenomeno sarebbe strano perché si è visto che nel mondo, dove c’è il suffragio universale, sono le donne a correre a votare in massa (vedi gli stati del nord-Africa, del sud-Africa, ad esempio; le precedenti elezioni in Cile, ecc.) per esprimere la volontà di cambiare il regime o per confermarlo se è sotto minaccia. La situazione italiana è accostabile a questo dilemma e perciò ci si aspetterebbe una mobilitazione elettorale femminile degna della gravità del momento.
Tuttavia, bisogna avere coscienza del rapporto controverso delle donne con il voto: partendo dalle lotte del movimento delle Suffragiste inglesi guidate da Emmeline Pankhurst (che arrivò a ottenere il voto alle donne nel 1918), al suffragio femminile in Italia ottenuto solo nel 1945, a quello in Svizzera nel 1971, ottenuto dopo 100 anni di lotte, all’Arabia Saudita ottenuto solo nel 2011, si comprende come il movimento delle donne nel mondo abbia combattuto per poter accedere alle urne. Ma, dagli anni ’70 in poi, con la seconda ondata del femminismo e con la diffusione della pratica dell’estraneità, la partecipazione al voto è diventata più problematica, anche per la presa di coscienza circa la fondazione patriarcale delle istituzioni della rappresentanza che, tutto sommato, obbligano a votare prioritariamente candidati e raramente candidate sicure di essere prese in considerazione. L’astensione è diventata un’opzione politica da “estranee” alle modalità e alle finzioni della politica istituzionale maschile. Le tre ghinee di Virginia Woolf (più volte evocate negli ultimi mesi anche da intellettuali maschi per l’estraneità alla dicotomia pace/guerra) suggeriscono la pratica dell’estraneità al femminismo delle origini per l’indicazione dell’esistenza politica di una “società delle estranee” ai riti, ai miti, alle istituzioni, alle pratiche stesse dei padri e dei fratelli. Si arriva così in Italia a denunciare ma anche a rivendicare la “cittadinanza incompiuta” delle donne che coincide con la “democrazia incompiuta”, un sistema occidentale escludente (non solo verso le donne) che copre la finzione di un’uguaglianza destinata, dalla Rivoluzione francese in poi, solo ai fratelli autoctoni (cfr. Géneviève Fraisse, Il mondo è sessuato, nottetempo ed.). Da qui abbiamo avuto ottime ragioni per criticare il sistema della rappresentanza e quindi per astenerci dall’andare a votare, o adottare la pratica della ricusazione delle schede davanti alle urne, dopo l’iscrizione sulle schede elettorali. Ma, bisogna sottolinearlo, le donne “estranee” non si sono mai sottratte al voto quando il senso di responsabilità verso le sorti locali o nazionali sono state in pericolo. Forse finora la stabilità di condizioni accettabili delle comunità è stata proprio garantita dal voto delle donne. Perché oggi, dunque, si ripresenta il problema dell’astensionismo femminile? Forse bisogna ripartire dalla sconfitta di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del 2016 in USA: le donne laureate e della middle class hanno votato per lei, ma le donne del “popolo” hanno votato per Trump. Molte si sono astenute: perché in un momento così grave? Il legame inesplorato tra donne e popolo, cosa vuole dire anche qui in Italia? Si sta ricostituendo la “società delle estranee” in tempi di protagonismo femminile? E gli uomini ne sono contenti, fermi nel rifiuto di ravvedersi?
Il mio pensiero e la mia intuizione arrivano a una risposta molto scarna: il nodo consiste proprio nella obiezione che molte donne hanno nei confronti della politica agita in modo astratto e senza capacità di considerare le conseguenze disastrose del “politicamente corretto”. Le obiezioni femminili, in questo caso, hanno una radice e motivazioni molto simili a quelle del “popolo”. Tutto questo è intercettato solamente, per ora, dal populismo che vira verso la destra estrema. Ma mentre parti del “popolo” accettano di adeguarsi a questa deriva, e la sostengono con il voto, molte donne la rifiutano e si astengono dal voto. Altre risposte si aggiungono grazie alle riflessioni fatte nella call del 19 settembre, a cura del movimento che ha preso il nome di “La Novità Storica” che sta costruendo una rete di alleanze femministe. Ci sono donne che ancora una volta indicano nei partiti, con le loro pratiche misogine, i responsabili del rinnovato disamore delle donne nei confronti del voto. Altre considerano, dopo tanti tentativi di dialogo e di collaborazione, definitivo il rifiuto degli uomini delle istituzioni di accettare l’autorevolezza delle donne e delle loro proposte e così ritirano definitivamente la fiducia nel voto; altre ancora, le più giovani, vedono altrove, nei movimenti, nei sabotaggi, nelle rivolte extraistituzionali il loro campo d’azione. Come si vede, anche in queste risposte, sentite in questi giorni, risulta evidente la grave responsabilità della parte maschile dell’umanità nell’indurre molte donne a considerare più adeguata a se stesse l’estraneità attuale al voto.